Search in blog
Una canna, un filo e una piuma: Tenkara, la pesca alla Sampei che funziona anche in Italia
Tenkara: la pesca essenziale che viene dal Giappone
Da piccolo, guardavo Sampei e pensavo:
“Ma che roba usa? Perché noi usiamo galleggianti, pasture, mulinelli, canne pesantissime… e a lui basta un bastone di bambù, una lenza e una piumetta per tirar su pesci grandi come un motorino, tanto che quando salgono gonfiano la superficie dell’acqua di almeno un metro?”
Ecco, anni dopo, scopro che non era fantasia.
Esiste davvero un tipo di pesca in Giappone dove hai solo una canna lunga, nessun mulinello e qualche mosca leggera: si chiama Tenkara.
Quando l’ho provata la prima volta mi sono sentito un po’ un Sampei, anche se per il momento trote grosse quanto un Garelli non le ho ancora trovate.
La Tenkara è così:
Poche cose in mano, tante emozioni in acqua.
Una pesca fuori standard, minimalista, un po’ ribelle rispetto a tutto l’armamentario che di solito ci portiamo dietro.
Ed è proprio per questo che mi ha conquistato.
Perché ti obbliga a mollare la presa su quello che è la pesca oggi — e a farti trasportare inevitabilmente dal ritmo della corrente.
Le origini della Tenkara: dai monti giapponesi ai torrenti di casa nostra
La Tenkara nasce dove nasce anche l’acqua: in alto, tra le montagne.
È la tecnica dei pescatori giapponesi che vivevano nei villaggi montani. Le trote iwana e yamame catturate nei torrenti erano il loro sostentamento.
Poca attrezzatura, tanta tecnica. Nessun vezzo.
Le prime canne erano in bambù, lunghissime, perché dovevano arrivare lontano senza bisogno di lanci complicati.
La lenza era fissata alla punta. Semplice. Diretta. Essenziale.
Una mosca autocostruita… e via: la conoscenza della corrente faceva il resto.
A pensarci bene, non è poi così diversa dalla nostra pesca Valsesiana.
Anche lì si usava la canna lunga fatta con il nocciolo — che ha rami che sembrano fatti apposta per pescare — anche lì la lenza era fissa, in crine di cavallo intrecciato, e anche lì contava più la sensibilità del braccio che non il mulinello.
Forse non ci sono i ciliegi in fiore né le montagne a punta con la nebbia poetica… ma lo spirito è lo stesso:
pescare con poco, capire l’acqua, fondersi con l’ambiente.
Cambia il nome, cambia il vestito, ma l’anima è uguale.
Oggi, che siamo circondati da tecnologie, accessori e grafiche iper-realistiche, la Tenkara (come la Valsesiana) ci ricorda che la bellezza della pesca è tutta lì: nel gesto giusto al momento giusto.
Attrezzatura Tenkara: poche scelte, ma giuste
Canna Tenkara
Niente mulinello, niente anelli. Solo un attrezzo telescopico, leggero e bilanciato.
Le misure più comuni vanno dai 3,3 ai 4 metri:
- Più corta se peschi nei microtorrenti fitti di vegetazione,
- Più lunga se vuoi raggiungere qualche metro in più senza disturbare troppo.
L’azione si esprime in scala numerica: 6:4, 7:3, 8:2 — dove il primo numero indica il numero di sezioni più rigide
Una 6:4 è più parabolica, adatta a chi inizia.
Una 7:3 o 8:2 è più pronta e reattiva, per chi cerca la trota di Sampei che gonfia l’acqua come un sommergibile.
Level line
Al posto della classica coda di topo, si usa una level line: fluorocarbon colorato, ben visibile e con spessore costante.
La sua funzione è distendersi bene e tenere il filo fuori dall’acqua, così da controllare al meglio la deriva e la presentazione della kebari.
In genere si sceglie uno 0.30 o 0.35 mm, lungo quanto la canna o poco più. Si aggiunge poi un tippet (fluorocarbon più sottile: 0.12–0.16 mm) per migliorare la trasparenza e assorbire la ferrata.
La Kebari
E infine, la regina: la kebari. Poca roba, pochi dettagli, ma un messaggio chiaro: non imitazione, ma suggestione.
La più classica ha l’hackle rivolto in avanti le famose Sakasa— la piuma aperta verso l’occhiello — che pulsa in corrente come se respirasse.
Niente ali, niente brillantini. Solo sobrietà e movimento.
Tecnica di pesca a Tenkara: la kebari non è ferma, è viva
La Tenkara è semplice, sì. Ma proprio per questo, ogni gesto conta.
La kebari, se vuoi, può derivare naturalmente… ma quando il pesce è apatico — e come si dice: “non sale” — è lì che entra in gioco la mano del pescatore.
In Giappone chiamano queste micro-tecniche sasoi: l’invito.
Un piccolo movimento del polso, una vibrazione leggera: qualcosa che dica al pesce “occhio qui”.
A volte funziona il tomezuri — tenere ferma la kebari in piena corrente, come se fosse una larva aggrappata al fondo.
Altre volte serve un sutebari: colpo secco, rilascio, e stop. Un invito nervoso. Non sono tecniche complesse, sono ritmi. Sono intenzioni.
Quando il gesto giusto incontra il punto giusto… succede.
La trota parte dal fondo e sale. Non per curiosità. Ma perché quella mosca sembrava vera. E voleva papparsela!
Vale la pena provare la Tenkara?
Sì, ma solo se sei pronto a lasciare a casa un po’ del tuo ego da spinner.
Perché in Tenkara non puoi dare la colpa al mulinello, alla treccia, o al colore sbagliato del jerkbait da 30 euro.
Hai solo una canna, un filo, una mosca e il tuo cervello.
E per assurdo — o forse no — funziona. Funziona dannatamente bene.
Non ti prometto pesci da trofeo.
Ma quando prenderai una trota con una mosca fatta di due piume e un colpo di polso, ti verrà da sorridere.
Forse penserai a Sampei. O magari ti chiederai ancora come faccia a non scivolare con quelle infradito.
Ma una cosa è certa: per una volta, sei tu che hai fatto tutto bene. Con niente.
E in un mondo dove tutto è smart, digitale e iperconnesso… ogni tanto è bello pescare come si faceva prima.
Con l’acqua davanti, e nient’altro intorno.
Leave a comment